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Il cane misterioso dei nostri sogni: Un archetipo dimenticato

 

...un archetipo dimenticato

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Il cane misterioso dei nostri sogni: Un Archetipo dimenticato

Il cane misterioso dei nostri sogni: Un Archetipo dimenticato


...se Jung avesse avuto un cane

Branco, Gerarchia e Ranghi sono dei concetti, con forte pregiudizio negativo, tipicamente associati ad un contesto militare con una forte caratteristica di innegoziabilità e di imposizione coercitiva della volontà di chi comanda, attraverso la sottomissione per paura della punizione psico-fisica.

 

Utilizzando questi concetti, in un contesto extramilitare, implicitamente, e automaticamente, si attribuisce  loro un forte pregiudizio di valore negativo ancor prima che essi possano divenire argomento di discussione.

...la natura è un miracolo vivente

Quindi l’argomentazione che può nascere da essi è meglio venga analizzata in modo più ontologico, ovvero, analizzando le forze in gioco nella loro natura più originaria, cercando di rivelarne la dialettica che tanto anima la loro essenza conflittuale.

La loro natura non riguarda la sfera morale ne il loro legame diretto con la sfera sociale e, ancor meno, con quello della sfera educativa, ma è molto più strettamente, ed essenzialmente, legata all’origine del concetto stesso di socialità e al processo d’Individualizzazione e il conflitto che in esso esiste tra la sfera individuale e quella sociale e la miscela esplosiva che ne anima la dinamica, ovvero, l’aggressività.


...se l'amore non è litigarello

Vorrei anche precisare che quando parlo di aggressività intendo la sua essenza primordiale, quella  originaria, e non il suo valore morale, ovvero, intendo parlare di quella “scintilla”, priva di attributi qualificativi, che mette in moto e regola i rapporti sociali, ovvero parlo dell’aggressività intraspecifica.

In un essere “a-sociale” non è possibile parlare veramente di aggressività ma più propriamente di comportamento di sopravvivenza e/o tutt’al più di “distruttività” legata a stress psico-fisici circostanziali e del tutto casuali.

Comunque sia, a noi, interessa di più l’ aggressività intraspecifica, perché la sua natura rimane “un cruccio” che davvero ci appassiona e ci spaventa allo stesso tempo, una miscela di fascino e di paura che ci prende da dentro.

(Vedi “Una evoluzione creativa” e capitoli successivi “Socialità” ecc.ecc. Clicca Qui)

...al inizio fu il gioco?

Se oggi facessimo un analisi un po’ “giornalistica” dei termini di Gerarchia e di Branco ci potremmo facilmente meravigliare da come questi termini sono più abituali che mai e come appartengano ad un’immaginazione collettiva molto fiorita e ben radicata, assumendo, a seconda dei contesti, valori più o meno positivi o negativi:

 

La possibilità di fare “carriera” nel lavoro è visto strettamente connesso ad un successo  economico-sociale, dove il “Rango” e la posizione gerarchica è fondamentale per stabilire la posizione sociale, e i privilegi e gli obblighi ad essa connessi, nonchè stabilire la “casta” a cui si appartiene, e dove usiamo lo “status symbol” come lasciapassare.

L’organizzazione del lavoro è tipicamente gerarchica.

Le nazioni, come i vari generi di società, sono governate da una struttura gerarchica più o meno complessa.

Il nostro stesso linguaggio e la scrittura hanno una gerarchia di rapporti interni ben precisa.

Perfino in genetica alcuni caratteri sono “recessivi” e altri “dominanti”, e i dominanti nascondono i recessivi, usando un linguaggio metaforico molto espressivo e decisamente immediato e facile da immaginare.

La nostra famiglia, per quanto più o meno normale e/o varia possa essere è, bene o male,  strutturata da gerarchie interne, più o meno flessibili, e socialmente fissate.

Nelle scuole l’insegnante troppo inflessibile e autoritario viene ancora oggi qualificato, indipendentemente dal sesso, come un gerarca o un generale, o peggio, paragonato ad un nazista.

Sempre nelle scuole, ma, così anche nelle strade, un’insieme di individui coalizzati, che si differenziano, e/o si impongono su altri gruppi, sono chiamati “Branco” e la forza dirompente, primitiva e selvaggia della loro unione, spesso rigidamente gerarchica, e l’espressione specista che ne nasce, viene denunciata di pathos patologico verso la società e tutti gli individui esterni al gruppo.

...un branco esteso

Quando si parla di questi “Branchi” si parla anche di “territorio” e della sua precisa “demarcazione”, di “prede”, di “belve” affamate, di “aggressività” territoriale e intestina, di “dominanti” e “sottomessi” ecc ecc.

Nelle associazioni malavitose, spesso si usano termini militareschi con una precisa attribuzione di poteri, ranghi e ruoli, gerarchicamente assolutamente precisi, e che incutono un automatico timore.

Ma la stessa cosa avviene anche in società a fini di bene, come ad esempio, negli Scout.

Tutte le Chiese del mondo hanno una gerarchia nella gestione dei poteri e una precisa definizione dei ruoli sociali competenti, con ranghi stabilizzati da anni di esercizio del potere episcopale.

Anche le stesse Religioni nascono dal principio gerarchico.

Le sette fanatiche, sia di estrazione religiosa che politica, usano livelli gerarchici e ruoli di potere.

Un distretto di Polizia funziona con una logica organizzata e forgiata sulla gerarchia e con ranghi molto precisi, e,dove, si sviluppano facili sentimenti di coesione, e, più o meno, analogamente funziona anche una squadra di Pompieri, un Ospedale, e, così, qualsiasi organizzazione o gruppo che abbia la necessità di dividere i compiti, in funzione di un successo comune, ha una gestione dei rapporti che funziona per via gerarchica con la divisione dei ruoli.


...di chi è la poltrona?

L’esercito è per eccellenza un macchina gerarchica che può essere messa in discussione fin che si vuole, e, persino, la si può negare come necessità di esistere, ma vorrei proprio vedere se davvero ne avessimo bisogno per difenderci sul serio se preferiremmo avere alle spalle un Esercito scapestrato, scombinato, disorganizzato, disattrezzato, e del tutto privo di gerarchie, di ruoli e di competenze ben fissate, e, soprattutto, rispettate, oppure se preferiremmo un’immagine un pò più rassicurante e, anche, piuttosto che troppo poco, meglio esageratamente armato fino ai denti?

E’ fin troppo facile sparare a zero su una struttura rigidamente organizzata, perché, per principio,  tende ad escludere la flessibilità e il compromesso, e quindi può essere facilmente additata come ottusa e senza prospettive aperte e, tanto meno, di larghe vedute, ma tale immagine è decisamente stereotipata e anacronistica, e non appartiene affatto ad un apparato militare di difesa “moderno”.

Di fatto, oggi, le guerre sono diventate molto più subdole e si giocano sulla carte, con la politica diplomatica e finanziaria, e la loro sorte non dipende più tanto dalla reale forza militare ma molto di più dalla gestione delle risorse (una terminologia che piace molto agli educatori “gentili” soprattutto di estrazione “cognitiva”) dalle alleanze e dalle capacità di controllare l’aggressività di gruppo.

Se dovete andare in vacanza, con un gruppo organizzato, come turisti, in un ambiente sconosciuto e/o che magari vi può sembrare anche un po’ ostile, es. una giungla, in alto mare, in montagna, in una zona artica o desertica, insomma,  fuori dal vostro ambiente abituale, sia naturale che sociale, e vi dovreste affidare ad una guida, come la preferireste?

...una buona guida, nella vita, è di fondamentale importanza!

Indecisa, che però sappia ascoltare tutti, accondiscendente con il gruppo senza imporre nulla di sconvenite al singolo, senza esperienza ma con molto entusiasmo e del tutto privo di capacità di gestione e di controllo dello stress, ma, comunque, con una buona parlantina, e in apparenza, molto rassicurante e confortante? Oppure preferite una persona temprata dall’esperienza diretta, anche se poco ortodossa e meno loquace e diplomatica, decisa e capace d’affermare la propria gerarchia, con capacità decisionale, anche se poco disposto a condividere con tutti il suo parere e ancor meno disposto a mettere le scelte decisive ai voti, non  preferite una persona capace, concreta e pratica, anche se, magari, potrebbe essere un po’ troppo schietto e senza troppi formalismi, ma capace di comandare e di gestire situazioni imprevedibili con forza e determinazione, piuttosto di un sapientone solo pieno di boria e spicciola teoria?

Preferite trovarvi in un vicolo buio ed isolato, magari in un quartiere che non gode di grande fama per la sicurezza pubblica, diffronte ad un “branco” di “bulli” minacciosi, insieme ad amici gracili o fin troppo opulenti, frivoli, con visus limitato, anche se magari bravi intellettuali, con ottima parlantina, e con grande capacità diplomatica, oppure preferireste trovarvi in compagnia di  un gruppo atletico, prestante, esperto in Arti Marziali, coeso e capace di difendersi concretamente?

La forza di una squadra di calcio, o di qualsiasi sport di gruppo, normalmente, dipende di più dalla sua capacità di fare “squadra”, di cooperare in gruppo, di rispettare i ruoli, piuttosto che dalla sparata di un unico “fuoriclasse”, e, infine, se ben si vuole vedere, dipende molto dalla sua capacità di fare “branco” e, per farlo, bisogna che ciascun membro della squadra, pur nella propria individualità e libertà di scelta, sappia ben relazionarsi agli alti, rispettando una gerarchia, riconosciuta e conquistata, e cooperando per il successo del gruppo.

Esibire comportamenti di sottomissione eloquenti non è imbarazzante, ma di fondamentale importanza per essere chiari!!!

 

Quindi, controllo della individualità per il bene della socialità, del gruppo…Fantastico!!!

Nel gioco, all'età giusta, si imparano i "fondamentali" per la vita vera di domani !!!

 

Siamo arrivati al dunque.

 

Più che a Gerarchia e a Branco bisogna pensare alla Socialità, nel senso puro del termine, ovvero, alla capacità originaria che un animale ha di consociarsi ad altri consimili, della propria specie, per perseguire e raggiungere un comune fine che si presuppone essere di maggiore successo, ai fini della sopravvivenza della specie e del miglioramento, della propria vita da “single”.

Non è un passo facile, e non stò parlando da un punto di vista evolutivo, ma da un punto di vista prettamente essenziale, ovvero delle forze in gioco: la libertà di arbitrio o il vincolo della Legge sociale, la libertà più sfrenata o la totale sottomissione, per parlare degli estremi della parabola.

Togliere la libertà porta ad una tensione sociale, ad una ribellione della propria individualità, con una, direttamente proporzionale, risposta aggressiva !

La Società richiede un controllo dell’aggressività per poter esercitare la pacifica convivenza finalizzata ad un obiettivo comune, che, però, non potrà mai essere perfettamente calzante per tutti gli individui nello stesso modo, per cui è necessario un accordo sociale, una Legge, che dia un limite alla intolleranza.

Un buon Partner di Riferimento sociale sa tenere a bada anche le situazioni più tese

 

Non si deve confondere Legge con Giustizia ne il rispetto delle Regole con la Verità.

La Legge può scandalizzare, persino a volte essere ingiusta, ma rimane Legge anche nella sua imperfezione, ed è per questo che sarà sempre un’imposizione, e, l’educazione al rispetto della legge sarà sempre un atto di forza, esercitato sull’individuo, per il bene della Società, dalla Società stessa e, persino, dall’individuo stesso, tant’ è forte il senso morale che l’individuo apprende, attraverso l’educazione, durante lo sviluppo giovanile, dai propri genitori, dalla scuola, dall’ambiente di lavoro, e da tutte le interazioni sociali operanti nella nostra quotidiana vita da uomini “liberi” ( liberi, sì, ma solo all’interno delle regole del gioco controllate dalla Legge sociale), ed è per questo che serve un accordo, un Patto sociale che sigli l’accettazione, attraverso la disponibilità alla tolleranza, ponendo dei limiti alla propria individualità ed esercitando un controllo dell’aggressività.

Un patto silenzioso, sommerso, invisibile, nato spontaneamente e senza la necessità di un suffragio simbolico, dalle origini dimenticate nelle oscurità e nelle ombre del passato più profondo, e che ancora agisce, con un'energia  dirompente, nel nostro inconscio collettivo e individuale, come una forza antagonista alla stessa aggressività, e capace di altrettanta forza onirica, ma reale, e che riesce a penetrare nella nostra individualità con pathos esistenziale spaventosamente potente e che sa dominare i nostri istinti più atavici e reconditi nascosti nel profondo della nostra psiche.

...sembra un Generale, ma invece è un soggetto adorabile

 

In verità la punizione prevista dalla Legge dovrebbe essere proporzionale ai peccati di intolleranza alla Legge e la punizione più grave non è la condanna a morte, ma, la sua versione più simbolica: l’esclusione dalla Società.

...che coppia!!! Il cane non fa descriminazioni razziali

 

Il sottomettere la libertà dell’individuo alla Legge Sociale è la più frequente causa delle tensioni sociali e dell’aggressività intraspecifica che ne nasce.

L’affermazione individuale nella Società quindi diventa un problema di gestione dell’aggressività in funzione di un equilibrio tra vantaggi offerti dalla convivenza sociale e l’imposizione richiesta all’individuo per poter rimanere nella Società.

Come vi sarete accorti, fino ad ora, non abbiamo mai parlato di violenza, perché di fatto la violenza nasce solamente con il mancato rispetto dei diritti dell’individuo, all’interno delle leggi fissate dalla Società, e la loro salvaguardia dipende propriamente dalla capacità che la società ha di far rispettare le proprie Leggi, ed essendo queste frutto di un accordo tra tutti gli individui, diversi ognuno a modo suo, di una Società nessuna Legge potrà essere perfetta per tutti ma solamente essere all’interno della tollerabilità di tutti.

Ma dove stiamo andando?

Cosa vuol dire tutto questo?

Proviamo ad estendere questa argomentazione all’educazione.

...lavorare insieme è più facile e diventa una vera prova di forza e abilità

Vorrei andare oltre al nozionismo affidato all’analisi anatomica comparata, più o meno approfondita, sulla struttura cerebrale e alla attribuzione di qualità delle decisioni e dei comportamenti divisi tra consci e inconsci, tra appresi e innati, tra razionali e emotivi, in relazione alla dimensione della corteccia cerebrale o alla funzionalità antagonista del sistema limbico, nell’uomo e, per estensione materialista e meccanicista, nel cane, e sulla più o meno corretta valutazione delle sua capacità di rappresentazioni coscienti della realtà, che, nel caso del confronto tra cane e uomo, potrebbero essere più interessanti da un punto di vista di un analisi delle differenze ontologiche tra specie piuttosto che diventare un problema di valutazione delle capacità di espressioni qualitative della vita sociale.

Ovvero, il fatto, tutto da dimostrare, che l’uomo sia capace di rappresentare coscientemente la propria dimensione sociale, e il cane invece no, non determina affatto l’incapacità del secondo ad avere una piena, e concreta, vita sociale, anzi, nel caso specifico, il cane vive una vita sociale molto più diretta e vera, addirittura esistenziale, rispetto all’uomo che rimane in balia della dialettica culturale tra conscio e inconscio, tra ragione e cultura.

Ovvero la Legge Sociale, che regola la vita del cane, non richiede a questo un atto di riconoscimento intellettuale, di presa di coscienza, della stessa, ma essa è del tutto immediata e dipende dalle interazioni dirette dell’individuo con le risposte dell’ambiente, compreso quello sociale, senza morale e senza possibilità di speculazione alcuna.

Quindi chiediamoci, in termini più assoluti, qual è la finalità dell’Educazione prima di tutto, per poi interrogarci sulle sue forme e modalità di esercitazione.

Chi dei due è quelloche chiede e chi quello che comanda???

L’Educazione è quel complesso apparato di nozioni che un individuo deve apprendere per poter condividere il Patto Sociale, ovvero l’apprendimento delle regole che definiscono la Legge Sociale.

Il punto interessante, che rischia anche di diventare talmente scontato, da un punto di vista antropocentrico, è il fatto che il rispetto di questa Legge, per l’uomo, diventa una questione culturale, legata al riconoscimento, che è implicito nella comprensione “razionale” e “logica” delle regole e delle loro finalità, mentre per il cane il loro rispetto è intrinseco alla correttezza “naturale” di queste regole e alla loro conformità alla “sua” legge “di natura”, e quindi di specie.

Le stesse regole che noi “capiamo” perfettamente, sia da un punto di vista razionale che morale, non sono necessariamente così scontate per il cane, come appaiono a noi, applicando il nostro ragionamento al cane, come fosse un altro membro della nostra specie, soprattutto, se lo facciamo da un punto di vista morale.

Comunque questo non toglie la dimensione reale e vera della socialità del cane, che è altrettanto spiccata, se non anche più specifica, e, credo, anche più rigorosa, della nostra, sebbene nasca da regole più semplici e immediate che difficilmente si possono modificare, nella loro essenza, almeno in tempi molto brevi, parlando in termini evoluzionistici.


...chi arriva prima dal proprio Partner umano?

Il cane non condivide un Patto sociale con noi, non naturalmente almeno, e quindi per poter far parte della nostra consociazione deve riuscire ad imparare, facendole in qualche modo sue, anch’esso, queste “leggi”, queste “regole”, e, volente o non volente, dovrà adattarsi ed imparare a sottostare ad esse, per poter partecipare alla convivenza sociale con noi, e per farlo deve essere sufficientemente flessibile e adattabile, e avere delle naturali convergenze etologiche con l’uomo, ovvero, deve, in qualche modo già possedere un’analogia strutturale nella propria socialità, nella propria capacità a consociarsi, che deve avere delle finalità vicine alle nostre, e dovrà avere una predisposizione innata ad imparare la loro specificità, la loro particolarità, ovvero, dovrà già possedere fondamentalmente la potenziale capacità “specifica” di poterle far diventare sue, poterle assumere come proprie.

...ma che amore!!!

Come era immaginabile ora rischiamo una deriva intellettuale verso confini che rischiano di farci perdere la strada, perchè implicano una serie di considerazioni parallele, complesse e spesso fuorvianti, verso la costruzione della personalità e del carattere del cane, con implicazioni della sfera delle componenti innate e di quelle acquisite e la loro interazione.

 

Il cane, è un animale straordinariamente adattivo, una vera “macchina” da apprendimento, con una componente innata primaria essenziale e una grande predisposizione innata all’apprendimento attraverso programmi  e periodi sensibili mirati, ma ampiamente adattivi, per cui, l’evoluzione della struttura innata primaria è praticamente impossibile di modifiche sensibili, improvvise e immediate, e , probabilmente, neppure epocali, mentre la parte adattiva, e legata maggiormente, se non esclusivamente, all’apprendimento, pur mirata e particolarmente sensibile a certi periodi abbastanza ben fissati temporalmente, permette una flessibilità alle risposte ambientali di straorinaria versatilità, che, però, non sono assolutamente, ed essenzialmente, da confondere come un processo evolutivo tendente verso la nostra sfera esistenziale.

 (vedi Periodi sensibili, clicca qui )

 

Chiudiamo la piccola parentesi e concentriamoci, di nuovo, di più sul cane e la Socialità.

Se il rapporto è saldo la Fiducia nel Partner umano può essere totale e incondizionato

Credo sia poco interessante, se non del tutto fazioso, cercare di ricostruire un’immaginaria, e del tutto fantasiosa, idea di Socialità, che appartenga, originariamente, al cane come animale quadrupede, gregario e cacciatore di gruppo, oppure, diversamente, per chi preferisce vederlo come un’opportunista, solitario e randagio, ma sia, invece, più importante capire se il cane è capace di riconoscere la nostra idea di socialità, almeno quella che crediamo ci appartenga oggi e che immaginiamo provenga da un’evoluzione da animale oggetto di predazione e cacciato, qual’era l’uomo preistorico, alle sue origini, ad animale cacciatore in piccoli gruppi, abbastanza isolati e chiusi e nomadi, ad, ancora, più recentemente, arrivare a diventare  un’animale culturale, più stanziale, agricoltore, allevatore e commerciante, capace di accumulo e di trasmissione intellettuale della cultura, attraverso la scrittura, e con la prerogativa di avvantaggiarsi della Tecnologia e della Scienza per conquistare il Mondo, con un passaggio progressivo da una consociazione individualizzata e chiusa, e con rapporti sociali molto stretti e specisti, ad una consociazione aperta di tipo anonima, cosmopolita, con rapporti sociali del tutto aperti e indifferenziati, terreno fertile per la proliferazione della comunicazione e della interazione di tipo prettamente virtuale offerta, oggigiorno, da Internet e dal servizio Web da esso fornito, dove la solitudine impera in una società sovrappopolata al limite del collasso.

 

Ma, riferendoci alla speculazione già fatta sulla Socialità, come una strategia vincente per dominare il reale e aumentare le qualità della vita e il successo biologico, possiamo cercare di capire cosa, in quest’idea di Società, più culturale, che appartiene più propriamente e intimamente all’uomo, possa esserci di analogo alla percezione della socialità, più naturale, propria del cane, quali analogie accomuna il cane socialmente a noi, e viceversa, e cosa invece lo differenzia più o meno profondamente dal nostro modo di percepire tale condizione d’essere.

...noi siamo qui, quando si può entrare?

Credo che a tutti appaia abbastanza chiaro che esistono delle differenze biologiche evidenti tra cane e uomo e anche che esistono tratti, soprattutto comportamentali, che invece hanno una sinergia comune straordinaria  e, a volte, sembra quasi che ci sia un tale perfetto accordo e una tale perfezione di sintonia in certe intese, che, perfino, ci sembrano superare certi livelli di profondità a cui, neppure con il nostro simile, riusciamo ad arrivare.

Questo ci porta a costruire facili, quanto ingannevoli, antropocentrismo su molti aspetti del nostro comportamento sociale, e che ci inducono a sottovalutare, se non addirittura a rimuovere completamente, l’identità propria  del cane, e che sono frequentemente la causa di continui e, apparentemente, ingiustificabili fraintendimenti e/o incomprensioni sociali nel rapporto tra uomo e cane.

(Vedi: “Alterità del cane, tanto uguale e tanto diverso da noi” Clicca qui)

 

Uno di questi fraintendimenti più tipici è proprio il modo di vivere la propria dimensione sociale, praticamente esclusivamente politica per l’uomo, del tutto emotiva, immanente e concreta nel cane.

Il cane non sa mentire ma neppure si indigna, può provare riluttanza e repulsione ad una percezione sgradevole, ma non è capace di giudizio morale.

Per il cane, il concetto di tolleranza non ha molto senso e la stessa cosa riguarda la compassione, non essendo capace di auto-immedesimazione, al punto tale da sembrare, ai nostri occhi, in certi casi, addirittura estremamente crudele.

Il gioco  è misura...mordi tu che mordo anch'io

Ma se ben guardiamo questo modo primitivo di percepire la vita reale, la mancanza di tolleranza e di compassione, che sono sentimenti che  muovono da una specifica capacità dell’uomo, e che non appartiene al cane, d’immedesimarsi nell’altro e di estendere il concetto di sofferenza a sé stesso, ovvero della capacità di prendere coscienza del dolore, proprio e dell’altro, e di considerare la morte come aspettativa biologica, può essere anche osservato in una fase particolare dello sviluppo umano, ovvero, quella del bambino, dove la mente è ancora una mente originaria, appunto, primitiva, ancora del tutto mossa da obiettivi conoscitivi elementari di tipo indagativo, e incapace di grandi processi intellettuali di rappresentazione e senza grande capacità speculative e coscienza progettuale.

Questo modo di percepire senza rimorso e pietà, questi comportamenti che sembrano crudeli e senza sentimento, in verità sono legati ad una particolare sfera esistenziale tipica del bambino, legata ad un certo periodo del suo sviluppo, e altrettanto tipica del cane, seppure in questo rimane come una struttura permanete, e non hanno, in entrambi i casi, alcuna valenza morale ma solamente conoscitiva, nel senso più esperenziale del termine.

Il giusto o sbagliato per il cane è più prossimo al adeguato e opportuno, come risposta immediata ,“corretta” per natura, ad uno stimolo più o meno complesso dell’ambiente e che ha certamente a che vedere con il profitto, e il piacere o dispiacere, ma che appare, però, alla sua “coscienza” ( forse, più propriamente, si dovrebbe parlare di percezione), relazionato in modo diretto e circostanziale alla situazione di stimolo, attraverso un processo innato di esperienze accumulate nell’arco dell’intera vita e, per via genetica, anche da origini ancora più lontane e ancestrali.

La leva motivazionale del gioco è la più educativa e naturale che ci possa essere

Il cane non conosce la “Legge”, nel senso intellettuale del termine, non la può rappresentare nella sua mente, non ne ha coscienza, ma l’ascolta come una cosa che gli appartiene per natura in modo del tutto inconsapevole e immediata e non potrà mai metterla in discussione, tutt’ al più potrà arrivare ad una conflittualità se i termini di scelta delle risposte non sono chiari.

In verità, anche per l’uomo, molte regole sociali, che noi applichiamo abitualmente, non derivano dalle nostre conoscenze intellettuali ma nascono dalle esperienze dirette vissute in un particolare contesto famigliare e sociale e che possono essere, a volte, anche più profondamente radicate delle stesse regole acquisite intellettualmente e, che, infine, possono diventare, anche, un ostacolo emotivo da dover rimuove e che può dar origine a conflitti più o meno profondi della personalità.

 

Consideriamo un'altra serie di concetti, che appartengono al repertorio della classificazioni umane delle emozioni e del comportamento, ma che vale la pena verificare se possono, in qualche modo, avere senso anche per il cane, o per lo meno, possono essere considerati in un rapporto di analogia nelle riposte, al di là del loro “essere coscienti”, o no, al cane stesso.

Importante è capire se questi valori, che per noi sono d’estrema importanza sociale, possono essere applicati anche al cane, al di là del fatto che al cane questi concetti siano o non siano presenti alla coscienza in quanto tali, ma, sarebbe già un incredibile risultato capire se il cane è in grado di reagire a questi, allo stesso nostro modo, o, almeno, a quello da noi immaginato, per questi concetti, o, ancora, ad un modo per noi razionalizzabile, in modo tale, da poter prevedere un comportamento e poter adeguare, ad esso, una risposta appropriata e finalizzata, che non venga fraintesa o che non ponga il cane in una situazione d’incompatibilità con  essa e l’ambiente in cui viene ad avere un senso, ovvero quello umano.

 

Stiamo parlando di concetti come, Fiducia, Stima, Rispetto, Leadership, ecc. ecc. che per noi hanno fondamentale importanza nei rapporti interni e nella formazione sociale di Gruppi, chiamiamoli Branchi, Famiglie, Consociazioni chiuse o aperte, individualizzate o anonime, che siano, e che sono legati a Ruoli sociali e formazioni di Gerarchie più o meno complesse e che il cane dovrà affrontare con il suo corredo naturale degli istinti e adattarvisi con una capacità di apprendimento orientata naturalmente e già programmata geneticamente, e più o meno aperta, in relazione alla quantità e qualità d’esposizione agli stimoli ambientali, durante lo sviluppo giovanile.

 

Si potrebbe pensare al rapporto tra cane e uomo come ad un rapporto di fiducia?

Il concetto di fiducia ha senso per il cane o almeno egli reagisce in modo corrispondente o analogo  ad un comportamento che noi potremmo chiamare di fiducia, o no?

Per il cane, naturalmente, ovvero, etologicamente e biologicamente, esiste un corrispondente comportamento di fiducia, e se fosse, questo ha l’importanza sociale che può avere per noi?

...ci sentiamo come a casa nostra

Curioso è pensare che per conquistare la fiducia di un cane si debbano usare metodi diversi da quelli usati per conquistarsi la fiducia di una persona, soprattutto, pensando che il concetto di “fiducia” è coniato da, e per, una mente umana, e, quindi, ad essa è rivolta l’interpretazione dell’espressione comportamentale che potrebbe corrispondere a ciò che vogliamo intendere con tale concetto da un punto di vista tutto umano.

Perché, tra tutti gli antropomorfismi, e antropocentrismi, questo, sarebbe quello meno sensato  da eliminare, visto che avrebbe la funzione principale d’essere utile a noi e alla comprensione dei nostri rapporti con il cane, e quindi sarebbe sufficiente prestare un po’ di attenzione alle conclusioni, sapendo il limite che la nostra interpretazione può avere da un punto di vista della verità.

 

In effetti sono il primo a dirlo che esistono delle differenze di specie che ci possono trarre facilmente in inganno nel fare fin troppo facili analogie comportamentali.

 

Non mi sembra, però, che sia questa la motivazione adotta come spiegazione, ad esempio, nella scelta di una Educazione che ama farsi chiamare “gentile” solo come termine antagonista di una presunta corrente considerata, evidentemente, “non gentile”.

Già la definizione di “gentile” come aggettivo qualificativo del tipo di Educazione è contraddittorio di per sé,  in quanto l’Educazione per sua natura è impositiva, e non conosco imposizioni “gentili”, ma piuttosto è più facile trovare forme ipocrite di “gentilismi” che nel loro profondo sono  tutt’altro che tali.

Osservando meglio, spesso, si può scorgere che alcune persone “ingenuamente” commettono degli errori di valutazione riguardo ai propri comportamenti caratteriali, che proiettano negli altri, auto-ingannandosi.

Secondo la psicologia di Jung, tali errori sono da attribuirsi ad una scarsa conoscenza del lato oscuro del proprio subconscio.

L’ipocrisia psicologica è generalmente interpretata dai teorici come un inconscio meccanismo di difesa più che un volontario inganno, ma ciò nonostante chi ne viene a subire le conseguenze sono il cane, e i loro proprietari che hanno avuto fiducia nella metodologia in apparenza facile e alla portata di tutti e che non richiede troppo impegno e inutili fatiche, bastano poche nozioni di perbenismo e qualche bocconcino succolento.

In uno spazio domestico rilassato si può fare anche una bella pennichella

Ritornando, però, alla fiducia:

 

Se dovessimo fare, magari anche in modo un po’ superficiale, un’analisi introspettiva, tanto per orientarci un po’, e chiederci a chi daremmo la nostra fiducia cercando di ricostruire  un identikit di tale “sentimento, per vedere a cosa porta?

 

Di chi mi posso fidare davvero?

 

Mi posso fidare di colui che non ritorce i propri interessi contro di me!?

Mi posso fidare di colui che stimo per la sua integrità morale!?

Mi posso fidare di chi mi rispetta socialmente come individuo!?

Mi fido di colui che contraccambia la mia fiducia senza riserve!?

Mi fido di colui che è puro e senza la capacità di mentire!?

Mi fido di chi, per nessun motivo, metterebbe a repentaglio la mia vita e che non ha nessuna motivazione a ledere i miei interessi!?

Mi posso fidare di colui che è sicuro di sé e non deve usare gli altri per avvantaggiarsi nel proprio successo!?

Mi posso fidare di colui che, nella sua limpidezza morale ed onesta, è assolutamente prevedibile!?

Mi posso fidare di colui che è capace di mettersi in gioco per una causa giusta e non egoistica!?

Ecc. ecc.

Un bel gruppo misto di uomini e retriever con una finalità comune: creare un vero e forte rapporto di reciprocità

Premettendo che i comportamenti che ispirano fiducia, nell’uomo, possono essere del tutto mendaci e nascondere un secondo fine speculativo e a noi del tutto oscuro, per cui la nostra fiducia potrebbe essere comunque mal riposta, nonostante le apparenze.

Per il cane è diverso, in quanto, non essendo un’animale culturale, come l’uomo, che ha dalla sua capacità speculative di tipo intellettuale, il cane, non vi potrà mai mentire, e, per lui, questa possibilità, non esistendo neppure, nel suo repertorio etico (se ne volessimo attribuire uno immaginario), non se lo aspetta neppure da noi, e, quindi, il cane, legge il nostro comportamento come assolutamente sincero, attento e vero, compreso quelle volte in cui avevamo secondi fini, o non eravamo del tutto sinceri, o abbiamo adottato un comportamento di convenienza, o di proforma, o, semplicemente, non avevamo voglia di porre attenzione a ciò che facevamo.

Il cane ci prende sempre sul serio e quindi, a volte, ci sorprende con delle risposte comportamentali (reazioni al nostro fare, anche se questo nostro fare, magari, è del tutto inconscio e spontaneo e non ponderato) che ci possono sembrare sconcertanti per quanto ci colpiscono in profondità, e, a volte, all’opposto,  ci lasciano allibiti, e del tutto impreparati, per la loro inappropriatezza, oppure per il loro sconveniente sviluppo e la loro veloce maturazione, del tutto non desiderata e frutto di un malinteso, a cui, con innocente continuità, non abbiamo mai dato il giusto peso sociale prima.

 

Ma torniamo alla Fiducia:

 

Insomma, fondamentalmente, tendo a fidarmi di colui che non rappresenta un possibile pericolo per me e la mia vita sociale!

 

Però il fatto che mi possa fidare di quel qualcuno non vuol dire che  ad esso affiderei la gestione del futuro della mia vita e i dei miei interessi, perché di fatto la persona di cui mi posso fidare mi deve anche dare la garanzia di una motivazione associativa sincera e vantaggiosa e, soprattutto, mi deve dare una garanzia di capacità gestionali, affinchè possa affidagli i miei interessi e il futuro della mia vita con un certo grado di assolutezza ( e, ricordiamoci, socialmente, per il cane non esiste “un certo grado” ma solo o “tutto” o “niente”).

 

Quindi, la domanda, non è solamente di chi mi fido, ma, a chi, di fiducia, sarei disposto ad associarmi  nella gestione dei miei interessi e a chi affiderei il futuro della mia vita in una prospettiva di interessi culturali e socio-economici comuni!!!

Casa dolce casa

 

Mi chiedo perché dovrebbe essere diverso per il cane, al di là del culturalmente?

 

Sono convinto che, per il cane, il concetto di socialità acquisisca un valore biologico che non richiede nessuna coscienza, per esistere, ma, che è naturalmente, ed essenzialmente, presente come costitutivo della sua particolarità di specie.

 

In tutte le società, soprattutto di piccole dimensioni, come può essere quella tra il cane e il nucleo famigliare umano ( e, attenzione, che questa situazione per il cane non è affatto “naturale” ma rappresenta una condizione di “pseudo cattività”  che gli capita, un po’, per convergenza etologica e, un po’, per imposizione), affinchè, un membro, sia disposto ad affiliarsi ad altri, come membro del gruppo, deve fidarsi non solamente di questi altri, ma deve anche vedere, in questi, la capacità di gestire proficuamente il gruppo, affinchè gli sia vantaggioso associarsi, e, soprattutto, affinche  deponga la sua vita e i suoi interessi nelle loro mani, ovvero, deve riconoscere nella struttura della loro socialità una armonia di equilibri e una fiducia interna stabile e gerarchicamente ben fissata e proficuamente orientata ad un fine comune.

 

E, il cane, quando affida la sua vita sociale nelle nostre mani lo fa per davvero e fino in fondo, fino all’ultimo respiro!

 

Non voglio fare un apologia delle virtù del cane, ma so, per certo, e, per esperienza vissuta direttamente, che questa qualità, di concedere la fiducia fino all’estremo respiro, è l’essenza più autentica del cane, al di là di tutte le speculazioni filosofiche che attorno a tale questione si possono  sollevare, e per fare questa esperienza bisogna che si sia fatto l’esperienza di essere stati oggetto di difesa vera, di vera protezione, per il proprio cane, quando questi ha legato, prima, una vera Partnership con voi.

Un cane per amico è un'esperienza unica e insostituibile

Questa qualità del cane, così atavica, primitiva, originaria, autentica ed essenziale del cane, di difendere il proprio Partner Sociale di Riferimento fino al estremo, ponendo in questi la massima fiducia, stima, rispetto e sicurezza nella compartecipazione sociale, e disposto a dare a tale rapporto una maggiore importanza della propria vita, può essere compresa solo con un’esperienza autentica e che presuppone un rapporto autentico, e tale genere di rapporto, quando è possibile crearlo, differenzia anche un vero Addestratore e/o Istruttore Cinofilo, preparatore di cani, cosidetti, “ da lavoro”, e dove l’attitudine alla “guardia e difesa” è un metro di misura per il loro utilizzo sociale, da un semplice Educatore Cinofilo, per quanto questi possa essere specializzato in “Psicologia Cognitiva” o in “Zooantropologia applicata”.

Ovviamente si parla di competenze, non che l’Educatore abbia una minore Professionalità o che il suo lavoro sia meno importante di quello di un’Istruttore Cinofilo, anche se credo che questo aspetto sociale, particolare, del cane dovrebbe essere vissuto da tutti coloro che vogliono comunicare la natura del cane ad altre persone che richiedano il loro aiuto per capire meglio il loro compagno a quattro zampe o per poter risolvere, con i loro consigli professionali, problematiche comportamentali legati allo sviluppo della personalità canina.

Non che, ovviamente, la Psicologia Cognitiva o la Zooantrolpologia faccia male all’Addestratore e/o Istruttore Cinofilo, ma non può sostituirsi all’esperienza diretta, e, soprattutto, non può diventare una trappola psicologia e un’inibizione morale, subdola e sotterranea, per “bypassare” un’esperienza vera con il cane.

La fisicità per il cane è un modo naturale di espressione e in questo assomiglia molto ai bambini

L’Educatore Cinofilo non può diventare, solamente, una specie di stravagante “Agente di Commercio” che vende “ricette” imparate, più o meno in fretta, ai “congressi informatici”, o ai corsi “full-immersion” fine-settimanali” in qualche pseudo “Centro del benessere cinofilo”, con tanto di “Attestato di frequenza” e/o conseguente pseudo “Diploma professionale” rilasciato da qualche “Casa Produttrice”, con tanto di “sigla acronima” più o meno affascinante, perche, questo genere di figura, ancora del tutto professionalmente “randagia”, e con “licenza di far del male”, ,finiscono, infine, solamente a rovinare la vita del cane e del suo proprietario.

Ed è peggio ancora quando questo tipo di “pseudo-educatore”, normalmente spiritato da una ansia animalista, crede davvero nelle proprie “ricette”, così facilmente conquistate, da ritenersi un individuo straordinario e arrivare a confondere la propria ipocrisia intellettuale con la vera conoscenza.

 

Perché almeno l’”Agente di Commerico” sa cosa è e non deve nascondere la sua abilità di venditore o di affabulatore, e conoscendolo nelle sue finalità professionali, può diventare  anche un ottimo consigliere.

 

Ovviamente non si può fare di ogni erba un fascio, ma è pur anche vero che diventare “Educatori Cinofili”, oggigiorno, è diventato piuttosto di moda e,  sembra, che sia una professione talmente alla portata di tutti (basta essere disposti a pagare i “Campi di Reclutamento”…oggi, anche, molto profumatamente!), e, soprattutto, di tutti coloro che credono di voler un “smisurato” bene ai cani, ma, che, molto spesso, non riescono, invece,  a inserirsi altrettanto bene nei rapporti sociali umani, per cui l’approccio cinofilo diventa, per loro, inizialmente, una specie di forma terapeutica per la propria autostima, che finisce per esplodere in una esaltazione esagerata delle proprie capacità, che dagli animali sembra potersi estendere inconsciamente anche all’obiettivo umano, ma allo stesso tempo sguinzaglia liberi e del tutto “fuori controllo” una serie di “pazienti” come fossero dei Dottori con una perfomance di auto-proclamazione di incredibile portata mediatica e del tutto mimetizzata con le apparenze, da bravi professionisti, esibite da questi “pazienti-dottori”, che si finisce ad imbattersi più facilmente  in una folta serie di “pseudo-educatori”, “ciarlatani” e “venditori di fumo”, piuttosto che trovare dei Professionisti seri e capaci, con una qualche, pur minima, esperienza pratica di vita con il cane… “preso sul serio” ( giusto per citare un testo, di Eberhard Trumler, di straordinaria bellezza intellettuale, e non solo, oggi quasi del tutto dimenticato o frettolosamente seppellito, ancora vivo, e, che qualche volta, riappare, in versione da, quasi, “morto vivente”, o che rimane una specie di scheletro tenuto, ben nascosto, nell’armadio dell’inconscio cinofilo più oscuro, e che, come un’ombra, incapace di rimanere del tutto imbrigliata, riappare, curiosamente travestita, in molti testi e argomentazioni divulgative, rivendute sotto forma di ricerca, nuova e originale, degna di Copyright, sul argomento Cane).

 

Chiudo la parentesi e cercherò di evitare ulteriori sfoghi emotivi…promesso!!!

Arrivo, arrivo...che bello spiccare il volo

Ebbene, credo che quanto detto sopra, circa le modalità per conquistare la fiducia più completa, valga anche per il cane e le condizioni per la possibilità della sua associazione con il Partner umano che voglia dirigere questa nuova Società, con un autentico  rapporto comunitario.

 

Questa  comprensione di noi che dovrebbe indurre fiducia, nel cane, è una questione innata e immediata, ovvero, il cane non la deve, e non la può, razionalizzare, e, quindi, dipende tutta dal nostro comportamento d’interazione con lui.

 

Per il cane noi siamo come ci comportiamo!!!

 

Quindi il cane per associarsi a noi deve fidarsi di noi, certo, ma anche deve “stimarci” a tal punto da “rispettare” la nostra capacità gestionale  e quindi relazionarsi con noi come associato, ovvero riconosca la nostra autorità direzionale (… e, suvvia, chiamiamola pure anche Leadership, senza arrossire), cioè ci ritenga più idonei, di lui, a gestire il nostro Gruppo Sociale e le sue finalità naturali (attenzione!!!..quelle del cane!), ovvero, ci accetti come il suo Partner Sociale di Riferimento…nelle sue prospettive di specie!!!


Insomma, il cane deve crederci, e credere che, insieme, affidando a noi la Leadership, e quindi la gestione del nostro rapporto e dei nostri comuni interessi, egli possa avere un maggiore profitto, e  un maggiore successo, socio-esistenziale… biologicamente naturale per lui.

Il lavoro di abilità fatto con il cane ha solamente la funzione di perfezionare il rapporto d'intesa e di fiducia reciproca

Se non riusciamo ad offrire questo genere di rapporto al nostro cane, otterremo da lui solamente una risposta inopportuna, da “despota”, insensibile e crudele, riducendolo ad un opportunista totalmente ingestibile e inadeguato a vivere con noi all’interno della nostra società (e questa situazione può essere espressa in modo, più o meno, accentuata in relazione alla  sua particolarità e specificità di razza), oppure, tutt’al più, potremmo avere al nostro fianco un essere da dover sopportare, condannato a subire una vita parallela d’incomprensioni, prive di vero rapporto, spesso costretto ad un maltrattamento psicologico tanto subdolo quanto silenzioso, sommerso e continuativo, e che lo ridurrà a dover accettare, per forza, un’esistenza di inutilità, continuamente al limite della criticità e colma di disturbi della personalità, con un logoramento psicologico quotidiano, e che finirà per spegnere tutto l’amore che tra noi poteva originarsi in una pienezza di comunione straordinaria.

Socrate con il suo trofeo preferito

Poco conta che usiamo parole e concetti come “ stima”, “fiducia” e “rispetto”, che per noi sono concetti chiari ma che per il cane non esistono come idee concettuali coscienti, ciò che conta è che noi possiamo, attraverso l’uso di questi concetti capire il “sentimento”, l’emozione, la qualità percettiva, che il cane deve provare per poter interagire in quel modo preciso con noi, e, che noi chiamiamo Stima, Fiducia, Rispetto.

Mi sembra abbastanza ovvio che siamo noi che necessitiamo di uno sforzo intellettuale per capire il cane e cercare di offrire a questo la possibilità d’interagire in modo adeguato con noi, offrendogli delle informazione comportamentali e degli stimoli ambientali tali che egli possa dare a questi una risposta opportuna già pre-direzionata, da noi, a corrispondere alle nostre richieste senza dover entrare in conflitto con il suo naturale modo d’essere, immediato, e innato, d’interagire con il mondo che lo circonda, e che lui capisce a modo suo, del tutto specie-specifico, e che gli è proprio, e che non può cambiare, non potendo fare un’astrazione intellettuale e produrre una speculazione extratemporale ed extraspaziale.

In verità il successo più straordinario, per l’uomo, nel senso di una vera e propria conquista di libertà, anche, e soprattutto, per sè stesso, sarebbe quello, non tanto di offrire al cane, semplicemente, la possibilità di adeguarsi correttamente al nostro sistema sociale, imponendogli una forzata condizione adattiva di tipo psicologico, ma, invece, quello di riuscire a cogliere una occasione speciale per liberarci noi, come Leader umani, del nostro lato oscuro, o almeno, riconoscere in quest’ombra, relegata nel nostro inconscio più profondo e problematico, il limite, e l’ostacolo principale, che oscura la possibilità di comprendere completamente il cane senza la necessità di complesse intermediazioni culturali e senza la necessità di una traslitterazione, ovvero, di un sistema di traduzione pieno di contraddiszioni e facili antropocentrismi; un riconoscimento che ci permetta di arrivare ad una comunicazione più spontanea e immediata, più naturale ed istintiva, affidata alle emozioni e al linguaggio del corpo, sentita con il cuore e spogliata di tutte quelle maschere culturali, prettamente razionali e moraleggianti, per cercare di ritrovare un modo più autentico e diretto di comunicare con la Natura, e dove il nostro amico cane, in tale percorso,  diventa una specie di musa ispiratrice che ci accompagna con disinvoltura per una strada ormai dimenticata da molto, molto, tempo.

Il cane vive e si comporta nella contingenza e la sua capacità di interagire con noi è  dovuta a convergenze etologiche con il comportamento umano, ma, allo stesso tempo, la sua condizione esistenziale è decisamente propria e specifica, e del tutto immanente.

Per noi è molto facile cadere nel rischio di fare delle  antropomorfizzazioni e degli antropocentrismi, da un punto di vista intellettuale, mentre per il cane è del tutto normale “canimorfare” e “caninizzare” o “canicentrare”, e, il cane, non ha altra scelta, lui non può astrarre, e lavorarci sopra, e riconoscere il proprio egocentrismo, e, non può ricredersi, come può fare l’uomo ( per quanto questa stessa condizione esistenziale dell’uomo è, per l’individuo, un gran “casino” che spesso diventa un “groviglio” inestricabile di confusione psicologica e d’identità).

Nella prospettiva di essere capace d’ astrazione intellettuale, l’uomo, ha anche la facoltà del “libero arbitrio” e questo è una grande libertà, che, però, è anche causa di grande instabilità, indeterminatezza, incertezza e precarietà, e che può persino portare all’autoinganno e alla rimozione delle sfere emotive più resistenti e conflittuali della personalità.

Però l’antropomorfizzare e/o commettere peccati di antropocentrismo, nell’uomo, con un po’ di autocontrollo, di sana critica e di autoconsapevolezza speculativa, si possono evitare, e, con un po’ d’attenzione, è possibile anche conservare questa capacità come strumento critico nelle modalità di analisi e di controllo del divenire.

 

Ma “bando alla ciance” e alle derive argomentative di tipo filosofico.

 

Come si può notare continuo a cercare di non introdurre terminologie con contesti pregiudiziali ma mi riesce sempre più difficile farlo.

 

Ma, mi chiedo, perché in ufficio, al lavoro, in una qualsivoglia squadra, e praticamente in tutti i Gruppi associati in una finalità comune, noi uomini, non ci vergogniamo di chiamare il “superiore” di grado (e già questo aggettivo, per qualcuno, è tutto un dire, e sarebbe, probabilmente, scandaloso da applicare al cane) capo, mister, primario, leader, comandante, ecc. ecc. chiaramente intendendo esplicare una questione di ruoli e di gerarchie,  mentre con il cane le stesse parole vengono subito demonizzate da una certa schiera “moderna” di teorici dell’educazione, che sentono cosi impellente la necessità di premette, con assoluta priorità, in ogni loro argomentazione tecnica e teorica, la natura “gentile” delle loro azioni, come fosse una loro “speciale” responsabilità morale “sublime”, e “superiore”, che sovrasta ogni cosa e ogni azione che ha a che vedere con il nostro rapporto con il cane?

Nel gioco si esrecitano gia le prime gerarchie

Curioso che noi diamo più importanza, e rivolgiamo tutta la nostra stima e il nostro rispetto, a quei “Capi”, appellandoli con la “C” maiuscola, che si rivelano essere: sicuri di sé, capaci di gestire, che non si tirano indietro, magari un po’ prepotenti ma che mostrano il coraggio delle loro azioni, che sanno affrontare le cose e prendere decisioni, e sanno interpretare con scaltrezza, astuzia, e, soprattutto, intelligenza, come funziona il mondo, nonché, i rapporti sociali e politici, e sono capaci di ottenere, senza alcun indugio, ciò che è meglio per sé e per i propri associati?

Perché proviamo verso queste persone, in cui riconosciamo questa capacità di essere dei Capi, un innato rispetto, e proviamo anche un  reverenziale timore al loro cospetto, e ci ben disponiamo a manifestare prontamente la nostra sottomissione con comportamenti che lo evidenzino il più chiaramente possibile, senza provare vergogna alcuna?

 

Il Rispetto richiede un certo grado di Stima ma anche disponibilità a riconoscerla apertamente, senza vergogna, ed ammettere una diversità sociale di capacità e di responsabilità!!!

 

Ma perché, allora, ci si scandalizza tanto se un cane, manifestando altrettanta devozione e rispetto verso il proprietario, esprime la sua disponibilità con altrettanta eloquenza?

Perché esprimere rispetto, con un comportamento di sottomissione, è, nel cane, visto con tanto sospetto?

La nostra “naturale” inibizione morale ci viene trasmessa attraverso l’educazione che, prima dai genitori e poi dalla Società, ci viene imposta durante l’intero nostro sviluppo giovanile, fino a diventare un vero e proprio bagaglio etico a cui non riusciamo più a sottrarci e che, a volte, può diventare anche un peso da dover rimuovere nell’inconscio di una mente, nel uomo moderno e sempre più globalizzato, eccessivamente oppressa socialmente, e a cui non siamo quasi più capace di rivelare la nostra individualità.

Un pò di incertezza con le orecchie non sarà poi così grave...magari basta una piccola conferma per scogliere ogni dubbio

Sembra che ci sentiamo responsabili, quasi in colpa, della paura manifestata dal cane, come se fosse una nostra mancanza.

E sembra quasi che, nel nostro Io più profondo, ci volessimo convincere della esistenza, negataci, della libertà, per cui pretendiamo che il cane non debba aver paura del proprio proprietario e nutrire verso di lui solamente sentimenti di fiducia, questo è diventato il motto, sì, …ma, il motto del perbenista.

Il cane potrebbe avere rispetto della figura del proprietario ma non deve mostrare timore reverenziale anche pur minimo nei suoi confronti, …ma questa è una contraddizione bella e buona.

 

Non capisco, cosa abbiamo da nascondere e perché ci vergogniamo tanto della paura del cane conseguente al suo rispetto verso di noi, è una paura naturale, e, direi, anche salutare, perché denota la presenza di una relazione sociale di grande valore.

 

Invece ci affliggiamo e affanniamo tanto a far si di nascondere questi tratti espressivi naturali, per far vedere, ipocritamente, che il cane non ha paura di noi e che egli si fida ciecamente di noi, anche se, magari, questa “pseudo-fiducia” è stata ottenuta  artificiosamente solo per far vedere un’apparenza del tutto formale e senza contenuto concreto e per nulla corrispondente al sentimento reale, e tantomeno, capace di ottenere una risposta affidabile, in circostanze di bisogno reale.

 

Mi sembra un messaggio che, in modo celato e un pò subdolo, piuttosto, che al cane, si rivolge al prossimo umano, dicendo: Perché non vi fidate di me come persona? Che strana impressione vi do che non riesco a convincervi? Perché non dovreste fidarvi di me? lo fa con “gioia” e massima “fiducia” perfino il mio cane, che sa guardare nel profondo degli animi !!! …se lui si fida di me perché non dovreste farlo anche voi?

Mi sembra un’ostentazione della auto proclamazione della propria purezza d’animo fatta pagare ad un innocente: il cane!

Se il cane arriva con straripante gioia da noi perché abbiamo in mano della “roba” (traducasi:“droga”!!!) da fargli assaggiare, e mi riferisco al succolento bocconcino, allora va bene, e poco conta la motivazione per cui ha eseguito un esercizio di richiamo, che non dovrebbe neppure costituire un argomento di discussione, tanto naturale dovrebbe essere, e poco conta che, avuto il bocconcino, se non persistiamo con lo stimolo alimentare, il cane se ne frega di noi e si occupa di cose che reputa più importanti e di maggiore tornaconto, e poco conta se, quella volta che il richiamo ci serve davvero, in presenza di stimoli distrattivi veri, e magari davanti al rischio di un pericolo reale per il cane, e che lo stesso, probabilmente, non è in grado di veder sopraggiungere, il cane rimane del tutto indifferente se non addirittura ignora volutamente il nostro invito ad avvicinarsi.

Aspettatemi, stò arrivando...sono ancora piccolino!!!

 

Di fatto, davanti ad un rapporto vero, con il proprio Partner di Riferimento umano, il cane, non da più nessuna importanza all’alimentazione, che diventa una “droga” solamente dove non esiste nessun rapporto autentico.

Un rapporto autentico coinvolge il cane con tutto il suo essere e tutto il resto diventa insignificante rispetto ad esso, e conta solamente mantenere viva questa comunione, questo legame, solo questo conta ai fini della sopravivenza e della possibilità di una prospettiva di prosecuzione della vita, secondo un valore del tutto esistenziale e in pura, e assoluta, sintonia con la sua percezione del senso della vita secondo la sua natura specifica.

 

E’ incredibile che ci si scandalizzi per un comportamento del tutto naturale e perfettamente adeguato alla situazione, come il comportamento di timore reverenziale davanti al proprio Leader, e si approvi di creare una risposta incondizionata, ovvero, senza alcuna scelta alternativa possibile, ad una “dipendenza” psicologica, come la cattura del suo interesse attraverso la motivazione alimentare del tutto incontrollabile per il cane, una volta innescata la dinamica del facile successo.

 

È incedibile preferire un comportamento opportunista, per quanto innocente, come quello attivato dalla motivazione alimentare, ad un comportamento sincero e autentico, e, soprattutto, etologicamente adeguato, e del tutto naturale, come quello fondato sulla gratificazione sociale come motivazione originaria.

 

Il motivo è molto semplice: la leva opportunista, alimentare, è più comoda, facile da ottenere e non necessità un grande coinvolgimento emotivo e non richiede, neppure, un’esposizione autentica del nostro essere, come invece è necessario, se, la fiducia, quella vera, la si vuole conquistare con la Stima e il Rispetto originato ad una Motivazione Sociale !!!

 

Ritengo strano questo comportamento e credo che avrebbe bisogno di essere analizzato meglio, soprattutto, da un punto di vista psicanalitico, e credo che Jung lo avrebbe trovato molto interessante, e forse avrebbe potuto scoprire, nel rapporto tra cane e uomo, un altro Archetipo del nostro Inconscio collettivo.

Al sicuro e al calduccio...del mio amico Golden

Forse rimane solamente una mia convinzione, alla quale non voglio neppure sforzarmi di dare una veste più o meno scientifica, perché fa parte del mio vissuto e credo che nessuna teoria ne potrebbe cambiare il sapore di autenticità che ha già acquisito nella mia cultura cinofila, ma, sono certo che  il cane si avvicina molto ad un’idea, davvero, di idealismo puro, da un punto di vista umano, del concetto di Società, ovviamente, del tutto immanente e immediato, e per nulla cosciente, ma comunque e certamente vissuto.

Un’idea talmente idealistica che a noi appare persino rudimentale, primitiva, e del tutto teorica ed estranea alla realtà.

Ma di fatto noi stiamo parlando della nostra realtà, complessa, confusa tra vero e falso, tra conscio e inconscio, tra scienza e mistero, tra reale e morale, ovvero, tutte cose con cui il cane non ha nulla a che fare.

 

Credo che il cane abbia una richiesta fa farci, e sia quella di ascoltarlo davvero.

 

Il cane ci parla costantemente, ma con i fatti, e ci chiede di fare altrettanto, e non di girare attorno alle cose cercando scappatoie intellettuali, condite spesso da illazioni piene di una razionalità, molto spiccia e, soprattutto, molto pigra, che, continuamente, fanno apparire la nostra insicurezza e tradiscono la nostra immagine di Referente, facendo emergere e apparire il nostro lato debole, quello oscuro, della nostra incertezza e della nostra instabilità.

Il nostro fare non dice davvero quello che vogliamo davvero, e quello che siamo davvero, perché siamo talmente abituati, nella vita quotidiana, a portare delle maschere, dietro le quali nascondere le nostre debolezze, che non riusciamo più ad esporci e comportarci con immediatezza e naturalità, e spesso viviamo di mezze verità ( che infine sono anche delle mezze menzogne) che ci logorano dall’interno, ma che ci permettono di resistere in un Ambiente sociale che spesso è opprimente e insopportabile, ma con il quale dobbiamo comunque convivere.

 

Ma con il cane, queste maschere non funzionano, perché egli sa guardare nel profondo della nostra anima, quella più oscura e che si nasconde nell’ombra del nostro inconscio e a cui spesso neppure noi stessi sappiamo arrivare senza l’aiuto giusto.

 

Quando arriva questo momento, in cui il cane ci scruta dentro, e ci chiede di abbassare il sipario e di rivelare la nostra identità, la nostra personalità, non possiamo fingere, perche questo equivarrebbe ad un tradimento, e ciò che tradiamo è la fiducia che il nostro cane ci stà porgendo con tutto il suo essere, con tutto il suo “cuore”, e che noi non vogliamo, o, non sappiamo più,  cogliere, per paura di mostraci davvero nudi, come madre natura ci ha fatto, con tutte le nostre fragilità e con tutte le nostre verità.

Ma la verità è che l’uomo avrà certamente delle fragilità, e saranno tante, e ben nascoste nel nostro inconscio, ma ha anche incedibili virtù, e, quindi, basta un pò di coraggio e lasciarsi andare, con un po’ di consapevolezza e di attenzione, certo, ma lasciamo che parli anche il nostro corpo, attraverso il nostro comportamento e la nostra anima.

Che bello un "corpo a corpo" del tutto spensierato

Cerchiamo di non perdere il gusto del vero delle cose, il sapore reale delle cose, e saper ascoltare il loro essere prima che venga mascherato da un nome controllabile e razionalmente esaurito.

Usiamo la forbice del giudizio razionale come guida avveduta e autocritica, evitando una vivisezione intellettuale del nostro rapporto con il cane, che, certamente, sarà anche diviso fra le verità dell’Etologia e quelle della Neurologia, ma che, comunque, alla fine,  è fatto da cose reali e concrete.

Lasciamoci una porta aperta con il dubbio che le interconnessioni vere abbiano una loro autonomia e una loro autenticità esistenziale, e aspettiamoci che il cane ci possa ancora sorprendere  proprio là dove pensavamo di aver capito  tutto di lui, ed esaurito il nostro sapere, ed estinto il piacere della scoperta della Natura e di quel soffio divino che anima tutte le cose.

 

Riconoscere questa dimensione della nostra anima, Jung, lo chiamerebbe un passo avanti nel processo d’individuazione, dove l’individuo realizza l’equilibrio tra la sua parte luminosa e oscura, tra conscio e inconscio, tra ragione e sentimento, tra pubblico e privato, tra appreso e innato, tra individuo e società, infine, dico io, magari un po’ avventatamente, tra noi e il cane.

 

In questo contesto il cane può diventare un compagno “speciale”, che, attraverso la “selva oscura” della vita, ci può aprire la strada fino alle porte del paradiso e farci vedere un spiraglio di luce, una visione di Dio… insomma, una vera e propria  terapia dell’anima.

Una corsa spensierata rallegra l'anima

 

Non stò, quì, a chiedermi se la Teoria del Branco e della Gerarchia ha un’origine che possiamo dedurre dallo studio del progenitore, Lupo, del cane, sia che esso sia stato osservato nel suo naturale Habitat o in cattività, ma mi chiedo come mai cerchiamo continuamente di riinventare, nella speranza di un nostro personale copyright, criteri che vorrebbero sapere di nuovo ma che troppo spesso invece sono sempre le stesse cose rivisitate da prospettive diverse, ma che, fondamentalmente, non cambiano un gran che nel contenuto  e nell’essenza della speculazione, per cercare di dare un’ontologia e una deontologia all’educazione del cane, e poi finiamo ad applicare, consciamente o inconsciamente, i stessi criteri, ripudiati e tanto criticati e/o, addirittura, demonizzati, al nostro genere, e con i nostri figli, finendo per trattare il cane come un “portatore di handycap”, usando la sua disponibilità ad amarci incondizionatamente come leva, movente e origine del male che, nel non volerlo fare, continuiamo a perpetuare, su di lui, in modo del tutto subdolo, e ben nascosto nell’ombra del più comune perbenismo animalista.

 

Il cane ci chiede di reagire e comportarci da simile, o almeno da consimile, e noi lo distraiamo con un bocconcino.

Il cane non ne può più di non essere considerato e, allora, noi gli cambiamo il bocconcino con una leccornia più succolenta.

Il cane non ne può più di non fare nulla di interessante e comincia a manifestare sintomi di stress da “ipertensione”, nata dalla noia, e noi gli lasciamo a diposizione, durante la nostra assenza, un bel “Kong” congelato con del cibo dentro.

 

Ma possibile che non ci rendiamo conto che la nostra assenza è costante!!!

 

Perché anche quando ci siamo, non vogliamo interagire con il nostro cane, perché insicuri e intimoriti dalla possibilità di sbagliare, di esporci emotivamente e moralmente, nonché socialmente, o, peggio ancora,  perché costa troppa fatica mentale, quella più faticosa e fastidiosa per noi, e, così, continuiamo ad offrire, al cane, dei surrogati che dovrebbero supplire alla assenza della nostra persona, del nostro contatto, del nostro rapporto, che diventa sempre di più un “non-rapporto”, un rapporto di convivenza sempre più distratto, solitario e problematico.

Il Rito dell'annusamento è di fondamentale importanza nella prima presentazione

...d'altronde un buon odore può dire tanto di un'individuo

Perché, ben sapendolo, già fin dai primi risultati ottenuto dai primi comportamentalisti,  che il cibo rappresenta per il cane una leva motivazionale alienante e lo costringe ad una risposta incondizionata per cui, il cane,  finisce vittima della sua dipendenza, come l’uomo lo diventa per la droga.

Perché, nonostante sappiamo tutto questo, continuiamo ad usare la leva alimentare per ottenere risultati facili, in breve tempo e che permettono di faticare meno ma che non costruiscono un vero rapporto di fiducia.

 

Perché confondiamo la fiducia con la convenienza?

Perche confondiamo l’amore con l’opportunismo?

Perché consideriamo il vero rapporto, quello sincero, espresso con il nostro comportamento, così pesante, così impegnativo e cosi faticoso da volerlo evitare a tutti i costi?

 

Perché non ci confrontiamo con il “vero” cane, ma preferiamo trasformarlo in un essere subdolo, goloso e opportunista, che non conserva più nulla di quei caratteri originari, naturali e genuini da cui eravamo così misteriosamente attratti e che ora ci sfuggono del tutto?

 

Il cane in realtà vuole solo un confronto autentico con noi, senza finzioni e senza tanti eccessi di formalismi, con un linguaggio immediato e facilmente comprensibile leggendo correttamente il suo linguaggio del corpo, attraverso i vari, e ricchissimi, di significato immediato, messaggi posturali, compreso l’espressione del viso.

Il cane vuole solamente un confronto e una risposta che si esprima autenticamente attraverso il nostro comportamento, il risultato delle nostre azioni, quelle vere, quelle reali, quelle per cui bisogna mettersi in discussione davvero, e dove non si può fingere senza essere smascherati subito.

 

Alcune volte il cucciolo ti provoca più volte per avere conferma della chiarezza del messaggio e questo non dipende da un nostro fallimento ma dalla sua necessità di chiarezza nel riconoscere tutta la nostra convinzione e la nostra sicurezza nel farlo, con la massima determinazione, e senza titubanza dettata dalla insicurezza, perché è questo che il giovane cane cerca di verificare in noi, la nostra attitudine alla Leadership, ad essere il suo vero riferimento.

 

Più il cane è caparbio in ciò e più normalmente denota carattere e forte personalità.

Maggiore carattere e personalità, se associate a forte tempra, possono richiedere a volte considerevoli doti di autocontrollo e di determinazione nel genitore-umano che voglia affermarsi nel suo ruolo sociale di educatore.

Di chi sarà in adorazione questo splendido Labrador di nome Koko

...ma sicuramente del suo Partner umano di Riferimento

Per il cane è un gioco, ma attenzione che non è un gioco banale ed innocente, ma e un gioco per la “vita”, una vera e propria palestra di formazione dove una “sbucciatura” del gomito, una “spinta”, una “brutta” caduta o una “scaramuccia” furibonda, sono solamente esercizi di abilità e piccole prove che hanno la funzione di “farsi le ossa”, di temprarsi alla vita, di accumulare informazione, da noi e dal nostro ambiente, attraverso la volontà di affermasi socialmente come individuo, ma anche di verificare le proprie capacità, la forza e la determinazione dell’altro, compreso il compagno umano, che non deve affatto dare per scontato il suo ruolo di dominante, perché questo ruolo non è acquisito d’ufficio e verrà continuamente messo in discussione e  portato alla prova dal cucciolo, prima, dal giovane cane, poi, e, infine, si trasforma nel più o meno stabilizzato, maturo, equilibrato rapporto di Partnership, nel cane adulto , in relazione alle nostre capacità, mostrate nella progressiva interazione vissuta nello sviluppo della sua personalità, fino a diventare il cane adulto che abbiamo, a questo punto, costruito insieme, volente o non volente, con la nostra abilità d’interazione.

 

Il cane è un animale con capacità di adattamento straordinarie, ma rimane pur sempre un’animale  essenzialmente emotivo e la percezione per lui significa molto, e la sua fisicità nei rapporti richiede una corrispondente risposta, vissuta e vera, che non disdegni il sporcarsi un po’ le mani nel giocare in modo schietto e “corpo a corpo”, e, vi assicuro, che è una esperienza molto liberatoria e estremamente gratificante.

(Vedi: Breve introspezione nella natura canina –Clicca qui-)

 

 

L’equilibrio lo dobbiamo creare noi, attraverso il nostro comportamento e attraverso il controllo delle regole del gioco e attraverso un coinvolgimento sociale del cane, portandolo a diventare partecipe della nostra vita, in tutti i contesti più ricchi di stimoli possibili, e interagendo con lui da “uomo a uomo”, senza tante frivolezze o intellettualismi, e, al posto dei bocconcini, vedrete che il cane preferirà una bella gratificazione sociale, e, in questo, vi assicuro, il cane è tale e quale all’essere umano!!!

 

Il cane è disposto a tutto pur di trovare in noi il Riferimento che stà cercando, e una volta che lo ha trovato nulla potrà più scalfire tale intesa, e sarà un amore incondizionato, incorruttibile e insostituibile.

 

Si dice che il cane ama il proprietario più di se stesso, ma la verità è che il cane diventa tutt’uno con il suo Partner di Riferimento, si annulla in esso, diventa un tutt’uno con lui, come se fossero un'unica identità, perché per il cane la Socialità è la realizzazione del suo essere, e la Partnership è il suo modo di essere, di esistere.

 

Quindi diventare il Partner di Riferimento non è una cosa scontata ma una cosa da conquistare attraverso la maturazione di quel rapporto di fiducia e rispetto, che, tende all’assolutezza, solo attraverso una progressiva messa alla prova fino, al riconoscimento finale, con un assoluto abbandono del cane, al suo “Primo” compagno sociale.

Ricordiamoci che la sua vita futura è nelle nostre mani!!!

 

E se veramente questo modo di essere del cane dipendesse dalla sua vita in cattività, io dico:

Ben venga la Cattività !!!

Perché è questo il cane che voglio!!!

Perché è questo il cane che non sapevo perché, ma che avevo sempre desiderato!!!

Perché è questo il cane che mi sa trasportare in quella dimensione che possiamo immaginare solo idealmente, se siamo così fortunati di essere in grado di intravederne la possibilità d’esistenza nella oscurità del “tutto esaurito” della Ragione.

Perché è questo il cane che mi fa sentire quella sincronia del fare, quell’armonia sociale, quella pienezza d’essere, che si può avere solamente con il “tuo” cane, nella pienezza assoluta della socialità più originaria, e che è possibile solo quando quell’altro diventa te, quando sembra che l’alterità si annulli e si dissolva in un“noi”, quando l’altro si offre completamente a te, quando si abbandona totalmente a te, si dona a te, con il massimo della Fiducia, della Stima e del Rispetto, e della reciprocità, quando entri veramente in simbiosi con il suo essere da percepirlo con tutta la pienezza del tuo, corpo, della tua mente e della tua anima insieme, in un rapporto “speciale” che nessun essere umano potrà mai darti, e che completa il nostro essere, lo realizza, con un amore che sa apriti l’anima del mondo.

Quanto mistero, quanta bellezza, quanto sentimento ci ispirano con la loro umanità

 

 

 

 




 
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